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Katherine Mansfield: la religione della scrittura

Katherine Mansfield: la religione della scrittura Katherine Mansfield: la religione della scrittura
A me stessa
autori: Katherine Mansfield
formato: Libro
prezzo:
€ 20,00
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Katherine Manfield aveva uno sguardo estasiato sul mondo, una passione per la vita e il desiderio ardente di scrivere.
 Era la scrittura del resto che dava significato alla vita, la riempiva di senso - nonostante tutto- la scrittura era la sua religione:
“Sarò capace, un giorno, di esprimere il mio amore per il lavoro? Il mio desiderio di diventare una scrittrice migliore? La mia brama di metterci più impegno? E la passione che sento? Ha preso il posto della religione, è la mia religione; una religione delle persone, poiché io stessa creo le persone da cui sono attorniata; una religione della “vita”, poiché è la Vita.”

E quel suo modo di sentire intensamente la vita, sia nei momenti di felicità, sia nell’abisso del dolore è ciò che – forse - la indusse a scrivere, ma d’altro canto era l’obiettivo di scrivere che l’avrebbe tenuta in vita, nonostante tutto.
Tale necessità risultò evidente:
- sia quando la sua vita sembrava avere imboccato il sentiero giusto, come scrisse nel gennaio 1915:
“Ho due desideri in serbo per quest’anno: scrivere e guadagnare soldi… Sento la nuova vita che si avvicina. Ci credo, come sempre. Sì, sta arrivando. Andrà tutto bene”. Grazie anche all’amore per Murray - con cui si era messa nel 1912- che aveva dato una pienezza al suo esistere, ma che in ogni caso non avrebbe potuto esaurire il suo impeto vitale: “Vivo nel fragore di un fiume impetuoso che solo io posso udire. È curiosa questa mia esistenza, più reale di questi tre anni di idillio, più conforme a ciò che credo sia la mia vera natura.”
-sia quando, dopo la terribile esperienza di perdita del giovane fratello, sul fronte francese, il dolore avrebbe reso la sua sensibilità ancora più acuta e la sua espressività più intensa, quasi lirica:
“Mi sento costantemente in bilico sull’orlo della poesia. Il mandorlo, gli uccelli, il piccolo bosco dove sei tu, i fiori che non vedi, la finestra aperta da cui mi affaccio sognando di averti con me, appoggiato alla mia spalla, e quei momenti in cui la tua fotografia “ha l’aria triste”.”

La scrittura era la religione della sua vita nonostante i dubbi sulla propria possibilità di riuscire e la difficoltà di dare una forma soddisfacente alle proprie idee - incertezza che attanaglia ogni scrittore, anche il più talentuoso- ma che nella Mansfield era alleggerita dall’umorismo, ben presente nelle pagine del diario:
“Sento con assoluta certezza- nel mio modo di sentire abominevolmente moderno – che non riesco ad entrare in contatto con la mia intelligenza. Me ne sto là in piedi, in una di quelle disgustose cabine telefoniche, e non riesco a prendere la linea. “Siamo spiacenti, non risponde nessuno”, sentenzia la vocina metallica. “Vuole riprovare? Oppure cambiare numero? Ecco, proviamo a restare in linea, qui dovremmo trovare qualcuno”. “Non risponde nessuno”. Probabilmente non c’è nessuno in tutto l’edificio, mi dico, assolutamente nessuno. Nemmeno un disgraziato guardiano. No, è buio, vuoto e silenzioso, soprattutto vuoto.”

La scrittura sarà la sua ancora di salvezza, nonostante le difficoltà materiali che la tormenteranno per tutta la breve vita, descritte nel diari, ma anche trasposte nei personaggi dei racconti: attori, cantanti, scrittori, che -di fondo - hanno fede nella propria arte e non perdono mai la propria dignità e lo sguardo ironico sul mondo, anche quando sono inseguiti dai creditori, oppure quando sono dileggiati, e financo quando si prostituiscono. Certo la vita randagia, senza fissa dimora
 - a volte perché la casa era prestata dagli amici, a volte per decisione di separarsi volontariamente da Murray, in cerca di ispirazione e raccoglimento, oppure per esigenze di salute, di un clima migliore, come in Cornovaglia o nel sud della Francia- richiedeva un duro prezzo:
“Se avessi un luogo da poter chiamare “casa” e potessi tirare le tende, chiudere a chiave la porta, bruciare rapida qualcosa dal dolce profumo, fare due passi nella stanza perfetta, senza fare rumore, osservando le luci e le ombre, la vita sarebbe tollerabile; ma vivere così al pub, come faccio io, è très difficile.”

La scrittura la salverà anche dalla sua relazione con Murray, una relazione che per entrambi sarà un punto fisso, fino alla fine, nonostante le separazioni, gli allontanamenti e i tradimenti. 
Che dunque le procurerà estasi, ma anche profonde sofferenze; la delusione derivante dall’inevitabile alterità dell’altro, ma al tempo stesso la comprensione e l’indulgenza - nei momenti di lucidità – per l’inevitabile alterità dell’altro (sia nel diario, sia in alcuni racconti nei quali i protagonisti sono una lei malata ed esigente ed un lui annichilito e desideroso di fuggire); la sensazione di esserne dipendente e al tempo stesso la consapevolezza profonda di dovercela fare con le proprie forze.

La scrittura le farà sopportare l’idea e gli assalti concreti della malattia, feroce e mortale.
“… Ma più intenso di qualsiasi altro desiderio c’è quello di raggiungere il mio scopo, prima di tutto. Quanto prima i libri saranno scritti, tanto prima starò bene, tanto prima i miei sogni saranno vicini alla loro realizzazione… Di fatto questa cattività forzata la considero un dono di Dio. Ma, d’altro canto, devo sfruttarla al meglio, e velocemente…Perché, ogni giorno della mia vita, devo essere ossessionata dalla prossimità e dall’inevitabilità della morte? Ne sono profondamente afflitta. E non posso parlarne. Se parlo a J. della mia angoscia lo rendo infelice. Se non gliene parlo, rimango da sola a combatterla. Sono stanca della battaglia ...Questa sera, mentre Venere brillava alla finestra e le montagne pallide erano così incantevoli, ero seduta a pensare alla morte, a tutto ciò che ci sarebbe da fare, alla Vita che è così bella, e al fatto che il mio corpo è una prigione. Ma questo stato d’animo è il male. È solo riconoscendo che io, essendo ciò che sono, ho dovuto sopportare questo per compiere il mio lavoro nel mondo, solo riconoscendo questo ed essendo grata che il mio lavoro non mi sia stato sottratto, solo così potrò guarire”.

Perché il desiderio di scrivere “era” la vita stessa.

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