
"Manifesto" di Julian Rosenfeldt è un film che deriva dall'omonima installazione d'arte dell'autore. Si tratta di 13 manifesti, cioè dichiarazioni d'intenti nel campo dell'arte, del cinema, dell'architettura ... Si va dal manifesto del partito comunista, a quello dei situazionisti, dei futuristi, dei surrealisti, dei dadaisti, della pop art, fino a Dogma 95 di Lars Von Trier e alle Golden Rules of Filmmaking di Jim Jarmusch, tanto per nominarne alcuni.
L'opera è piuttosto originale, per vari motivi.
Innanzitutto, invece di montare un documentario basato sulla lettura dotta dei 13 "manifesto", che risulterebbe probabilmente noioso, ha incaricato Cate Blanchett di interpretare "fisicamente" le parole dei movimenti artistici - come fossero altrettanti personaggi- rendendoli plastici, viventi, come forse sarebbe piaciuto ai situazionisti, secondo i quali l'arte è viva e le pratiche artistiche si realizzano direttamente nella vita. Lo scopo dell'autore infatti non è quello di parlare alla minoranza che si occupa d'arte nelle varie forme, ma di rivolgersi ad un pubblico più ampio, alla cosiddetta società alla quale un artista dovrebbe saper parlare, cercando di aiutarla a percepire quello che sta succedendo, quello che non riesce a vedere e capire nel momento in cui accade. Anche il tono del film è spesso ironico, però in senso affettuoso, di fondo si percepisce l'ammirazione per l'energia dei movimenti artistici, per la loro visionarietà, al di la della retorica rivoluzionaria.
Secondo aspetto fondamentale: i manifesti, messi in fila l'uno all'altro – nonostante siano stati scritti in contesti e anni diversi - appaiono straordinariamente simili, almeno nello spirito, cioè hanno lo stesso intento di rompere con un passato che non soddisfa, di proporre un'interpretazione del presente, in particolare di denunciarne le contraddizioni e di conseguenza di indicare la direzione da prendere.
L'aspetto che tuttavia sembra più interessante è che il personaggio recita il manifesto all'interno di un contesto attuale, moderno, come dire, siamo ancora qui a cercare disperatamente di migliorare la nostra società senza riuscirci, anzi cadendo in trappole peggiori; nonostante tutto raccontato con una sorta di tenerezza, quanto meno per l'intento poetico del movimento in questione. Spesso gli artisti, infatti, sono perfettamente coscienti che trovare la verità è impossibile ("Scrivo un manifesto perché non ho niente da dire" è una delle frasi provocatorie), ma non per questo ogni epoca vuole rinunciare al suo tentativo di cogliere "come stanno le cose davvero".
Per esempio dopo il prologo con citazioni del manifesto del partito comunista, il primo personaggio è un homeless che recita spezzoni di vari movimenti riconducibili all'etichetta "Situazionismo" , anche se antecedenti al movimento vero e proprio (1957-1972), come il Draft Manifesto (1932) del John Reed Club of New York: "Il genere umano sta attraversando la più profonda crisi della sua storia. Il vecchio mondo sta morendo; un altro sta nascendo. La civiltà capitalistica, che ha dominato la vita economica, politica e culturale è nel corso di un processo di decadimento. In questo momento sta alimentando nuove e devastanti guerre…" (ma quanto terribili e profetiche queste parole degli anni trenta!). L'aspetto straordinario, come si diceva, è che la scena dell'homeless è recitata in un sito ridotto in macerie ed abbandonato- pare siano i resti di un complesso militare usato durante la guerra fredda e, proprio questa ambientazione, unita al personaggio del clochard, ci fa toccare con mano la desolazione, l'abbandono, la povertà (del nostro tempo).
O ancora il manifesto futurista, con il suo inno alla velocità e alle macchine moderne, viene recitato da una broker all'interno della borsa finanziaria, un ambiente dominato da migliaia di schermi digitali e dati provenienti da tutto il mondo, che si aggiornano a ritmi disumani.
O infine - quello che mi ha fatto più ridere- è il manifesto dell'arte concettuale (secondo cui i concetti e le idee espresse sono più importanti del risultato estetico e percettivo dell'opera stessa) recitato da una anchor-woman in studio TV (sempre lei ovviamente) che è in collegamento con un'inviata in esterna sotto una pioggia fittissima e finta naturalmente (sempre lei in una sorta di doppio fra studio ed esterno). La giornalista in studio apre le news con "Ladies and gentlemen, good evening. All current art is fake" il che strizza l'occhio al tema –attualissimo- delle fake news! Intanto le due giornaliste ci raccontano che l'arte deve smetterla con i tecnicismi e i linguaggi specializzati delle riviste d'arte.

Insomma il senso ultimo del film è che l'arte non è fine a se stessa, ma che l'artista è parte attiva della società e deve prendere posizione. Come dice lo stesso Julian "I think this piece reminds us that we can be very inspired and say things very sharply, very poetically, and also inspire people to have content and meaning and not just volume”.
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